Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 35110/2021, hanno chiarito che le disposizioni di cui agli artt. 1 e 8 della L. 4 maggio 1983, n. 184 (disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei figli), esprimono l’esigenza che l’adozione del minore, recidendo ogni legame con la famiglia di origine, costituisca una misura eccezionale (una “extrema ratio”) cui è possibile ricorrere, non già per consentirgli di essere accolto in un contesto più favorevole, così sottraendolo alle cure dei suoi genitori biologici, ma solo quando si siano dimostrate impraticabili le altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento con i genitori biologici, ai fini della tutela del superiore interesse del figlio.
Un cenno meritano i fatti oggetto della pronuncia in esame.
A fronte di reiterati atti di violenza e maltrattamenti posti in essere dal marito in danno della moglie, dei figli della stessa nati da precedente matrimonio e della figlia in comune, e a fronte dell’atteggiamento di totale sottomissione della moglie, il Tribunale per i Minorenni di Roma sospendeva la responsabilità genitoriale in capo ad entrambi i genitori sulla figlia minore.
Aperta la procedura per lo stato di abbandono della minore, il Tribunale per i Minorenni confermava la sospensione dalla responsabilità genitoriale collocando la minore in casa-famiglia. In questo quadro, in assenza di figure in famiglia in grado di prendersi cura della bambina, questa era stata dichiarata adottabile dal Tribunale con sentenza confermata anche in secondo grado.
Decisione che le Sezioni unite ribaltano.
La madre ha promosso ricorso in Cassazione lamentando che i giudici di merito abbiano ritenuto la figlia minore in stato di abbandono senza tuttavia provare le circostanze specifiche del pregiudizio della condotta materna. Secondo la donna, infatti, i giudici di merito avrebbero fondato la sua incapacità genitoriale sullo stato di soggezione rispetto al marito, nei confronti del quale sarebbe stata del tutto succube al punto da indurla a ritirare la denuncia sporta nei confronti dello stesso in occasione dell’ultima grave aggressione.
Secondo la donna, ancora, la bambina sarebbe stata da lei allontanata, così impendendole di continuare a vivere nella propria famiglia d’origine, a fronte degli atteggiamenti di forza paterni e di sottomissione materni senza indagare approfonditamente sulle capacità genitoriali di entrambi.
Innanzitutto, la Corte di Cassazione precisa che trattandosi di minore, ancorché straniero, in stato di abbandono in Italia, sussiste la giurisdizione italiana con applicazione della legge italiana, la 184/1983 al caso di specie: la dichiarazione di adottabilità del minore è un presupposto speciale all’adozione, avendo essa carattere preliminare rispetto al procedimento di adottabilità. Ai sensi dell’art. 37-bis l. n. 184/1983, al minore straniero che si trova nello Stato italiano in situazione di abbandono si applica la legge italiana in materia di adozione, affidamento, provvedimenti urgenti. Inoltre, essendo la dichiarazione di adottabilità un istituto volto alla protezione dei minori si applica in ogni caso la legge di residenza abituale del minore ai sensi dell’art. 42 l. n. 218/1995 che richiama l’applicazione della Convenzione dell’Aja 5 ottobre 1961.
Rispetto alle due figure genitoriali, i giudici di legittimità arrivano a conclusioni rispetto a quelle a cui erano pervenuti i Giudici di primo e secondo grado: affermano l’inadeguatezza del padre, ma non della madre. Con la precisazione che «la capacità a svolgere il ruolo di genitore, non necessariamente sussiste, ed è riscontrabile, in entrambe le figure genitoriali». La donna aveva allevato tre figli, avuti da una precedente unione, in modo del tutto adeguato.
L’adozione piena del minore, sciogliendo ogni legame con la famiglia d’origine, è necessariamente da considerarsi come una misura eccezionale cui si ricorre allorquando, esperito ogni tentativo di riavvicinamento alla famiglia biologica e d’origine, non vi siano altre alternative tenuto conto del miglior interesse del minore. E proprio perché trattasi di extrema ratio, è necessario che i Giudici di merito, nel pronunciare prima l’apertura della procedura di abbandono e poi lo stato di adottabilità del minore, provvedano a valutare concretamente tutti gli elementi di pregiudizio delle condotte genitoriali non essendo sufficienti malattie mentali, temporanee o permanenti, o comportamenti patologici dei genitori.
Il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore è consentito, pertanto, solo in presenza di “fatti gravi”, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere “specificamente dimostrati in concreto”, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure espressi da esperti della materia, non basati su “precisi elementi fattuali”, idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio e di cui il giudice di merito deve dare conto. “Ai fini dell’accertamento dello stato di abbandono quale presupposto della dichiarazione di adottabilità, non basta, pertanto, che risultino insufficienze o malattie mentali (come sopra puntualizzato) anche permanenti, o comportamenti patologici dei genitori, essendo necessario accertare la capacità genitoriale in concreto di ciascuno di loro, a tal fine verificando l’esistenza di comportamenti pregiudizievoli per la crescita equilibrata e serena dei figli e tenendo conto della positiva volontà dei genitori di recupero del rapporto con essi”(Cass. civ., sez. I, 14 aprile 2016, n. 7391).
Ed ancora: “Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre, quindi, nelle sole ipotesi nelle quali entrambi i genitori non siano in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabili per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psicofisico del minore (Cass., 28/03/2002, n. 4503; Cass., 28/04/2008, n. 10809; Cass., 21/06/2018, n. 16357; Cass., 23/04/2019, n.11171)”.
In conclusione, la Suprema Corte accoglie il ricorso della madre nei limiti dell’affermazione del diritto della minore a vivere nella famiglia di origine ed alla assenza di un effettivo suo stato di abbandono.
Per restare aggiornati tramite la nostra Pagina Fb, clicca qui.