Con ordinanza n. 2690 del 15.06.2016 il Tribunale di Venezia si adegua a quanto già fatto proprio dalla Corte di Cassazione a tutela del risparmiatore, rilevando l’insussistenza di ragioni di incompatibilità tra la disciplina di cui all’art. 2358 c.c. e la natura di società cooperative, quali le banche popolari, con conseguente nullità del finanziamento concesso dalla banca al cliente al fine di finanziare l’acquisto di azioni della banca stessa.
L’ordinanza risulta particolarmente attuale se posta in correlazione con le vicende e gli scandali che negli ultimi mesi hanno visto protagoniste le banche popolari nazionali.
La vicenda prende avvio dal ricorso ex art. 700 cpc presentato da un risparmiatore e volto a scongiurare la richiesta di immediato rientro dall’esposizione derivante dalla concessione di un fido finalizzato, come accertato nel provvedimento, all’acquisto di azioni della banca stessa.
Il Tribunale ravvisa, infatti, “una stretta correlazione tra il finanziamento concessogli e gli acquisti di azioni della banca convenuta, nonostante il divieto previsto dall’art. 2358 c.c.”. In particolare, si legge nel provvedimento, “tale correlazione è desumibile dalla stretta contiguità temporale tra l’apertura del conto, la concessione del finanziamento e il pressoché intero impiego della somma finanziata con gli acquisti effettuati”.
Peraltro, nel caso di specie, il ricorrente aveva più volte presentato degli ordini di cessione delle azioni, appunto per rientrare dall’esposizione, ordini ingiustificatamente mai evasi dalla società. Rifiuto che il Tribunale qualifica come suscettibile di dar luogo ad un’azione risarcitoria a fronte della sopravvenuta perdita di valore dei titoli.
Degna di nota è, infine, la considerazione per cui spetta alla banca resistente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni che consentono la deroga alla regola generale del divieto di prestiti per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui appunto all’art. 2358 c.c.
In assenza di detta prova e trattandosi di violazione di norma imperativa, la Corte ha riconosciuto nel caso di specie la sussistenza sia del fumus sia del periculum consistente nel pregiudizio che un indebitamento elevato potrebbe recare all’organizzazione di vita, anche personale, del debitore nelle more del procedimento ordinario.
Conseguentemente, il Tribunale concede l’inibitoria chiesta, impedendo così alla banca di chiedere il rientro dall’esposizione sino alla definizione del giudizio di merito.