Nuova convivenza, importante pronuncia della Cassazione a sezioni unite: “La cifra va quantificata tenendo anche conto della durata del matrimonio nonché le eventuali rinunce concordate ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio” (Sent. N. 32198).
Una nuova convivenza non comporta di per sé la perdita automatica e integrale del diritto all’assegno di divorzio in favore del coniuge economicamente più debole. Lo hanno stabilito le sezioni unite civili della Cassazione, con una sentenza depositata venerdì, risolvendo così il contrasto giurisprudenziale che si era creato relativo all’esclusione o meno dell’assegno di divorzio in favore del coniuge economicamente più debole, nel caso in cui questo abbia una stabile convivenza con un nuovo compagno.
La scelta di intraprendere un nuovo percorso di vita insieme ad un’altra persona, secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte, non è però irrilevante: le sezioni unite affermano, infatti, che l’ex coniuge, “in virtù del nuovo progetto di vita e del principio di autoresponsabilità”, “non può continuare a pretendere la corresponsione della componente assistenziale dell’assegno”, statuiscono i Giudici, ma “non perde il diritto alla liquidazione della componente compensativa dell’assegno”.
Questa, in base alla sentenza, dovrà essere quantificata tenendo anche conto della durata del matrimonio, “purché provi il suo apporto alla realizzazione del patrimonio familiare, o del patrimonio personale dell’ex coniuge, nonché le eventuali rinunce concordate ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio”.
Nuova convivenza, il percorso della Cassazione
La Cassazione, inoltre, segnala come modalità più idonee di liquidazione dell’assegno limitato alla componente compensativa l’erogazione di esso “per un periodo circoscritto di tempo” o la sua “capitalizzazione” – allo stato attuale possibili soltanto previo accordo delle parti – e valorizza l’importanza dell’attività “propositiva e collaborativa” del giudice, degli avvocati e dei mediatori familiari per raggiungere la soluzione “più rispondente agli interessi” delle persone.
“In un settore della società di così veloce evoluzione e di così profonda incidenza sui diritti e sulla vita delle persone sarebbe stato auspicabile, ed è stato più volte invocato in dottrina, un intervento del legislatore per attualizzare e rendere maggiormente satisfattiva degli interessi coinvolti la disciplina normativa relativa alle ricadute patrimoniali della crisi coniugale“. Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni della sentenza.
In Francia, precisa la Suprema Corte, “l’articolo 283 del code civile prevede al primo comma che l’assegno di divorzio cessi in caso di nuove nozze, e al secondo comma che anche un concubinage notoire faccia cessare in pieno diritto la pretesa”; “in Spagna l’articolo 101 del codigo civil, al primo comma, dispone che il diritto all’assegno di divorzio si estingue per la contrazione di un nuovo matrimonio o a causa di una convivenza con altra persona”; in Germania il principio fondamentale “è quello della autoresponsabilità, per cui dopo il divorzio, ciascuno dei coniugi deve, salvo ipotesi particolari, farsi carico del proprio mantenimento”.
In Italia, ricorda la Cassazione, è in discussione in Parlamento, approvato in prima lettura alla Camera nel maggio 2019, un progetto di legge secondo il quale “L’assegno di divorzio non è dovuto nel caso di nuove nozze, di unione civile con altra persona o di una stabile convivenza ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 736, anche non registrata, del richiedente l’assegno. L’obbligo di corresponsione dell’assegno non sorge nuovamente a seguito di separazione o di scioglimento dell’unione civile o di cessazione dei rapporti di convivenza”.
Nuova convivenza, le puntualizzazioni delle Sezioni Unite
“Tuttavia, l’esistenza di tale previsione, – scrivono ancora i giudici – se comprova l’evoluzione del percorso normativo verso l’affievolimento dei legami precedenti alla costituzione di nuove formazioni sociali familiari”, depone allo stesso tempo “nel senso della necessità di un intervento normativo modificativo per arrivare alla perdita automatica del diritto, nell’ambito di un più ampio intervento normativo, che affronti e riequilibri altri aspetti della crisi coniugale e rafforzi la tutela dei conviventi”.
Nuova convivenza, il caso di Venezia
A porre il caso davanti alle sezioni unite era stata la prima sezione civile della Corte, dopo il ricorso di una signora – divorziata e convivente con un nuovo compagno da cui ha anche avuto una figlia – contro la sentenza con cui i giudici d’appello di Venezia avevano escluso l’obbligo dell’ex coniuge di corrisponderle l’assegno divorzile, proprio alla luce della sua nuova convivenza: sulla questione, infatti, negli ultimi anni ci sono state pronunce che stabilivano la perdita del diritto all’assegno in queste fattispecie e anche la procura generale della Cassazione, nella requisitoria davanti alle sezioni unite per l’udienza del luglio scorso, aveva seguito questa linea, definendola “automatica e necessitata”, chiedendo il rigetto del ricorso della donna.
“L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto giudizialmente accertata incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano ma non determina necessariamente la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno”, è il principio di diritto enunciato, nella sentenza di venerdì 5 novembre lunga 41 pagine, dalle sezioni unite, che puntualizzano: “Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole, questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge in funzione esclusivamente compensativa: a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, dell’eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge”.
Infine, “tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge – conclude la Corte – ma deve essere quantificato alla luce dei principi su esposti tenendo conto altresì della durata del matrimonio”.
Nuova convivenza, sgombrati i dubbi sulla legittimità della soluzione
Per finire, il Supremo collegio sgombra il campo da dubbi sulla legittimità della soluzione adottata, ricordando che anche la Consulta ha chiarito, in tema di diritto di famiglia, che «laddove una legge ha inteso associare una automatica perdita di tutela all’instaurarsi di una situazione, deve prevederlo espressamente».
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