Cass. S.U. 25/01/17 n. 1946: parto anonimo e diritto del figlio di conoscere le proprie origini

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è recentemente pronunciata sulla delicata questione relativa al parto anonimo enunciando, su impulso del Procuratore della Repubblica, un principio di diritto di particolare interesse in materia di filiazione.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo si era già pronunciata in materia nel procedimento Godelli contro Italia del 2012, condannando l’Italia per violazione dell’art. 8 Cedu in quanto la normativa italiana, privilegiando esclusivamente la volontà di anonimato della madre, non manteneva un equilibrio tra i diritti e gli interessi concorrenti in causa.

Tuttavia, in assenza di un intervento normativo, il diritto, finora negato, del figlio di conoscere le proprie origini è stato riconosciuto dalla Suprema Corte a quattro anni dalla sentenza n. 278/2013 con la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 28 comma 7 L. 184/1983, nella parte in cui escludeva in modo irreversibile la possibilità per il figlio di accedere alle informazioni sulla madre.

Ed invero “in tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in séguito all’interpello e persista in diniego della madre di svelare la propria identità”.

Le Sezioni Unite con la pronuncia in commento hanno, dunque,  sanato l’inerzia del legislatore che, a seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale sopra menzionata, non ha introdotto un procedimento ad hoc che, nel rispetto della riservatezza, permettesse al giudice, su richiesta del figlio, di interpellare la madre ai fini di una eventuale revoca della dichiarazione di non menzione nell’atto di nascita, resa ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.p.r. 3 /11/2000 n. 396.

Come correttamente sostenuto dalla Suprema Corte, la giurisprudenza di merito, continuando a negare tout court al figlio l’accesso alle informazioni, di fatto applicherebbe una norma ormai inesistente nell’ordinamento italiano, in quanto dichiarata incostituzionale.

Tuttavia, nel rispetto del diritto alla riservatezza e della dignità della donna, a seguito di interpello della madre, il diritto del figlio trova quale invalicabile limite la mancata revoca della dichiarazione iniziale per l’anonimato ovvero il diniego della donna di svelare la propria identità.

Colmando, pertanto, il vuoto legislativo creatosi, la Suprema Corte ha individuato il punto di equilibrio tra i due diritti in gioco, ossia quello del figlio, non riconosciuto alla nascita, di conoscere i propri natali e quello della madre di mantenere l’anonimato.

Avv. Serena Lombardo

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