Interessante pronuncia della Cassazione in materia di assegno divorzile.
La Suprema Corte, con la ordinanza n. 42145/2021, è tornata sul dibattuto argomento, con espresso riferimento ai criteri attributivi e determinativi dell’assegno.
In tema di riconoscimento dell’assegno divorzile, nell’ipotesi in cui la decisione impugnata si incentri essenzialmente sulla notevole sperequazione della situazione economico-reddituale dei coniugi, che ne costituisce solo il pre-requisito fattuale, occorre la verifica, imposta dal più recente orientamento interpretativo della Suprema Corte, del contributo effettivo fornito dal richiedente alla costituzione del patrimonio familiare e di quello dell’ex coniuge. I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono, dunque, dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, in ragione della finalità composita – assistenziale perequativa e compensativa – del detto assegno.
Un cenno meritano i fatti oggetto della vicenda illustrata.
Una donna ricorreva con quattro motivi per la cassazione della sentenza con cui la Corte d’appello di Torino – in un giudizio introdotto per la cessazione degli effetti civili del matrimonio – ha incrementato la misura dell’assegno di contributo a carico del padre per il mantenimento della figlia maggiorenne, ma non autosufficiente, fino al concorso di Euro 600 mensili, e, per quanto ancora rileva in giudizio, ha revocato l’assegno divorzile già riconosciuto nella misura di Euro 300 mensili in favore della richiedente.
La Corte di merito, in applicazione dei principi sanciti da Cass. n. 11504 del 2017, ritenuta l’autosufficienza economica della richiedente, ha revocato l’assegno divorzile.
Con il primo e secondo motivo la ricorrente fa valere la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La ricorrente deduce che la Corte d’appello, così incorrendo nelle dedotte violazioni, con l’impugnata sentenza ha disatteso di valutare le seguenti circostanze :
a) la “enorme disparità reddituale” tra le parti e l’impossibilità per lei, che aveva richiesto l’assegno, di svolgere un’esistenza libera e dignitosa con i redditi posseduti frutto degli immobili goduti;
b) la scelta condivisa, e non propria, con il coniuge di non lavorare per crescere i due figli e la possibilità data al marito di diventare dirigente d’industria nonché la durata del matrimonio;
c) la rinuncia della richiedente a svolgere la professione di avvocato per dedicarsi alla famiglia e l’erroneità del giudizio reso, secondo il quale la richiedente avrebbe potuto all’età di 54 anni “riciclarsi” nel mondo del lavoro.
Era quindi mancata, in estrema sintesi, la valutazione perequativa-compensativa dell’assegno divorzile secondo l’intervenuta autorevole pronuncia delle Sezioni Unite del luglio 2018 n. 18287.
I redditi dell’ex coniuge erano pari ad Euro 50 mila netti.
Il ricorso viene giudicato inammissibile.
I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, in ragione della finalità composita – assistenziale perequativa e compensativa – del detto assegno.
Invero, non si è realizzata, rispetto alla richiedente, la precondizione al godimento dell’indicata posta data dal peggioramento della situazione economico-patrimoniale dell’avente diritto a causa del divorzio.
Piuttosto, la condizione della ex moglie, come confermato anche in appello dalla Corte torinese, è complessivamente più solida del marito e tanto è stato fin dall’inizio della vita matrimoniale in ragione di una più forte consistenza reddituale della famiglia di origine che ha formato il livello reddituale della prima, come poi mantenuto in costanza di matrimonio.
La Corte di merito ha escluso lo squilibrio economico- patrimoniale tra le parti che, insussistente al momento del matrimonio, non ha determinato un impoverimento, al venir meno del vincolo coniugale, della ex moglie che godeva e continua a godere di immobili ed entrate in ragione dell’agiata posizione economica della famiglia di origine, pur non lavorando.
Per ulteriore ratio, complementare alla prima, i giudici di appello hanno poi ritenuto che la signora, avvocato, abbia un titolo che le consenta di immettersi sul mercato del lavoro restando comunque titolare di redditi che le garantiscono un’ampia autosufficienza economica.
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