CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA 9 MAGGIO-14 LUGLIO 2016, n. 14414

LA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ADDEBITO:

IL TRADIMENTO ANCHE SE CONSUMATO “ONLINE” NON E’ SUFFICIENTE A FONDARE LA RESPONSABILITA’ DEL CONIUGE

Con l’ordinanza del 14 luglio scorso, in merito al ricorso presentato dal marito con richiesta di addebito in capo alla moglie, per avere la stessa intrapreso una relazione extraconiugale su Internet, la Cassazione ha confermato quanto già in precedenza statuito dalla Corte d’Appello: non è sufficiente la sola violazione dei doveri coniugali previsti dall’art.143 del Codice Civile, tra i quali per l’appunto l’obbligo di fedeltà, a fondare una pronuncia di addebito, essendo necessario, invece, verificare che la violazione sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza e, dunque, se il tradimento sia causa o conseguenza della crisi coniugale. Nel caso di specie, dalle risultanze istruttorie è emerso che la crisi coniugale era riconducibile a determinati comportamenti del marito, responsabile tra l’altro, di violenze ai danni della moglie, documentate dai certificati medici allegati in atti. Nel caso di specie, la dimostrazione della relazione via internet intrattenuta dal coniuge non è stata ritenuta il fattore determinante il fallimento dell’unione coniugale e, comunque, tale da giustificare l’addebito, mancando la prova del nesso causale. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando l’onere in capo al marito di corrispondere l’assegno di mantenimento per moglie e figlio.

Con l’ordinanza n.25337 del 16 dicembre 2015, la Corte ha ritenuto il tradimento come causa principale della rottura del legame coniugale, in considerazione del fatto che la moglie aveva simulato un tradimento al solo scopo di ferire il coniuge. Soltanto all’esito del giudizio, in sede di precisazione conclusioni, la donna aveva smentito il tradimento, ma la sua dichiarazione è stata considerata tardiva, per cui la Corte ha confermato l’addebito. Infatti, secondo la Corte, anche nell’ipotesi di tradimento fittizio, il comportamento della moglie che induce il coniuge a ritenere esistente il tradimento è da ritenersi censurabile in quanto posto in violazione di quei doveri di fedeltà e solidarietà che sono alla base del legame matrimoniale.

La Corte ha stabilito, con l’ordinanza n.6017 del 2014, che la rottura del legame non fosse addebitabile al tradimento del marito, poiché la moglie, pur essendone a conoscenza, lo aveva tollerato. In questo caso, la relazione extraconiugale non è stata considerata la causa principale della crisi, tanto che il rapporto era proseguito per anni nonostante il tradimento.  Il successivo allontanamento del marito dalla casa coniugale rappresenta, dunque, soltanto la presa d’atto dell’intollerabilità della convivenza, con la conseguenza che, nel caso di specie, non è configurabile alcuna responsabilità al coniuge fedifrago, tale da giustificare una pronuncia di addebito.

Richiamandosi al principio sopra richiamato, anche il Tribunale di Roma, con la sentenza n.15488 del 2015, ha negato l’addebito della separazione al coniuge colpevole di tradimento. Nel caso di specie, il marito aveva proseguito il rapporto di convivenza pur essendo a conoscenza della violazione del dovere di fedeltà da parte della moglie.

Nell’ipotesi in cui è provata l’esistenza di una relazione extraconiugale cominciata immediatamente prima che il coniuge decida di lasciare il nucleo e allontanarsi dalla casa familiare, si può presumere che il tradimento sia causa della rottura del legame.

Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n.4013 del 22 giugno 2016, che ha confermato l’addebito in capo al marito. Per la Corte è stata ritenuta sufficiente alla pronuncia di addebito la prova che la condotta infedele del coniuge si era consumata nel periodo prossimo alla fine della convivenza. Da tale circostanza la Corte ha tratto il convincimento che il tradimento fosse in rapporto di causa-effetto con la fine della relazione.

 

La Cassazione si è espressa anche nel caso di relazione extraconiugale “platonica”, che non si traduce nella consumazione di rapporti sessuali.  Il caso è quello di una donna che intratteneva  una relazione con un altro uomo soltanto attraverso internet e contatti telefonici. Con la sentenza n.8929 del 2013, la Corte ha ritenuto il comportamento della donna è stato ritenuto rilevante ai fini dell’addebito, poiché la relazione di un coniuge con estranei, pur non sfociando in adulterio, può dare luogo a sospetti di infedeltà arrecando danno alla dignità personale dell’altra persona, in violazione dei doveri che discendono dal vincolo matrimoniale.

In mancanza di una pronuncia di addebito, non può essere accolta la domanda di risarcimento danni per violazione dei doveri coniugali. Lo ha precisato il Tribunale di Milano, con la sentenza del 25 giugno 2015,  che si è pronunciato sul ricorso presentato da un uomo volto ad ottenere il risarcimento dei danni dalla moglie per averlo la stessa tradito in costanza di matrimonio.            Nel caso di specie, il giudice territoriale ha rigettato il ricorso ritenendo che essendo stata già pronunciata sentenza di divorzio tra le parti, i fatti avvenuti successivamente non possono avere alcuna rilevanza ai fini risarcitori. Eppure, “la violazione dei doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio, non trova necessariamente sanzione nelle misure previste dal diritto di famiglia” (quale è l’addebito); la lesione di diritti costituzionalmente protetti può configurarsi, di per sé, come illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ( ex art.2059 del c.c.). La mancanza della pronuncia di addebito in sede di separazione, dunque, non è preclusiva dell’azione di risarcimento. Tale principio riscontra difficoltà applicative proprio in casi come quello citato, in cui la persona che si può ritenere lesa nei propri diritti invoca una tutela quando è ormai sancita, in sede giudiziale, la rottura della convivenza. Secondo il Tribunale, il danno non patrimoniale derivante dalla violazione dei doveri coniugali può essere invocato quando sia stato diretta conseguenza di un comportamento posto in essere in costanza di rapporto che, come tale, deve essere oggetto del giudizio di separazione e non anche accertato in altra sede, evitando una duplicazione di pronunce e un contrasto tra giudicati.